PRENDIAMOLA A RIDERE!

Tutti vogliono essere presi sul serio. Tutti vogliono darsi un tono, per apparire eroici, affidabili, supercool.

Ironia, sarcasmo e strategie di engagement (e di racconto)

Per molti la cosa funziona: industria tech, moda, mondo della cultura, finanza, cripto. Il benchmark, lo standard di comunicazione che questi mercati utilizzano (prevalentemente, non esclusivamente) si basa sulla serietà, sulla granitica convinzione di essere i migliori, di avere le caratteristiche più cool.

Ma spesso a convincere maggiormente è un linguaggio comunicativo più sottile, certamente più complesso da lavorare: l’ironia.

Insieme al sarcasmo, l’ironia è un mezzo divertente e molto difficile da gestire che permette al brand di abbassare apparentemente il proprio status, la propria superiorità rispetto al consumer e al resto del mercato e dunque empatizzare.

C’è chi anche negli ultimi anni scherza non solo con l’ambiente circostante ma addirittura col naming del proprio brand. Insomma, c’è tutto un mondo da scoprire rispetto a prendersela a ridere.

E poi, onestamente, voi non siete stanchi di tutta ‘sta serietà? Ora vuoi vedere che sono tutti fighi?

COS’È L’IRONIA, COS’È IL SARCASMO?

La comunicazione, alla base, può essere identificata come un messaggio che segue una linea perfettamente orizzontale, con un solo livello di lettura. Nel caso dell’ironia e del sarcasmo, invece, dobbiamo immaginarci una linea obliqua, ovvero con diversi livelli di lettura al proprio interno, una comunicazione implicita che, oltre al significato letterale delle parole e delle immagini, fa intravedere altro.

In breve: rispetto a un certo standard di mercato (è così che in questo contesto bisogna esprimersi), ironia e sarcasmo rompono una regola sociale. Esprimono, cioè, un tipo di comunicazione fuori dagli schemi.

Spesso chi fa ironia dice il contrario di ciò che realmente vuole comunicare. Ciò che svela il meccanismo ironico è il contesto, la voce, il tono, l’accento usato oppure, nel caso delle immagini, il font del lettering, il tipo di grafica o foto utilizzata e altri elementi.

Mentre l’ironia si esprime in modo letteralmente negativo per comunicare, invece, qualcosa di positivo, al contrario il sarcasmo enfatizza l’aspetto positivo di ciò che sta comunicando per sferrare un attacco feroce e tagliente.

Ciò che colpisce sempre, però, è che chi utilizza l’ironia e il sarcasmo, anche se non incontra il favore del pubblico, riesce ugualmente a provocare una reazione fortemente empatica e partecipata. In pratica non si può restare indifferenti davanti a un’immagine o un’affermazione ironica o sarcastica.

IL TARGET DELL’IRONIA

Diciamolo subito: il motivo per cui l’ironia e il sarcasmo vanno maneggiati con cura è che si tratta di un terreno particolarmente scivoloso. Non tutti li capiscono. E soprattutto, mica tutti sono divertenti. Diciamolo, una volta per tutte.

Per scrivere questo articolo i nostri copy sono andati a spulciare uno studio di alcuni anni fa (Ruch et al., 2018) secondo cui le persone reagirebbero in modo differente a sarcasmo e ironia secondo le loro caratteristiche socio-demo: le donne tendono a utilizzare più l’umorismo (quindi un’ironia più gentile), gli uomini, invece, sono più votati alla satira, quindi una comunicazione più sarcastica e aggressiva (#buongiornopatriarcato). Lo stesso vale nel rapporto giovani-anziani: i primi sarebbero più cinici, e quindi sfrutterebbero più uno stile comunicativo sarcastico; i secondi, invece, sarebbero più teneri e tenderebbero a usare più l’umorismo (#celestenostalgiadeipensionati).

Quindi si torna sempre a uno dei temi più trattati di questo blog: se non conoscete la tipologia di persona che volete colpire, non potete strutturare una comunicazione strategica. E questo vale sia per il b2b che per il b2c. E questo vale sia per un macchinario di taglio metalli che per il piatto di un ristorante stellato.

LOEWE, DECADES OF CONFUSION

Lo diciamo subito: si legge Loève. La precisazione è doverosa dato che la campagna 2024 di uno dei più importanti brand di moda spagnoli nasce proprio da qui, cioè dal fatto che pur essendo famosissimo e acquistatissimo, i consumatori di Loewe spesso non ne sanno pronunciare il nome.

E il brand sapete che dice? Non solo va bene così ma va anche meglio così.

 Nel film, una gara di spelling in cui alle concorrenti viene richiesto di dare l’ortografica del naming, si attraversano i decenni, dagli anni ’60 fino alla contemporaneità. Ma soprattutto, attraverso la presa in giro del nome – che nessuno azzecca – Loewe fa leva su un tono fortemente ironico, su un’estetica surreale e un racconto dissacrante.

In realtà le grandi case di moda qualche problema col nome ce l’hanno, tant’è che negli anni molti brand hanno lanciato campagne orientate a spiegare come si pronuncia il nome, anche Margiela che ha lanciato la campagna “High Fashion Spelling Bee” (puntando sulla tenerezza) e l’iconico “It’s Versace not Versachee” (che si gioca tutto sulla coolness ma che proprio non ce la fa a essere divertente. Ci dispiace, Donate’).

LOEWE Presents: "Decades Of Confusion" Starring Dan Levy And Aubrey Plaza -  Fucking Young!

HAINEEKEE, HEINEKENNE, HIENYKKE, JEINEKEN, HINEAKEN, AINEEKEN

Nel 2023 un noto brand di birra festeggia i suoi primi 150 anni. E cosa fa? Si storpia il nome.

Ma lo fa celebrando i propri fan a cui quella birra lì piace un sacco, pure se non capiscono nemmeno come si pronuncia. Il concept della campagna è quanto di più ironico e affettuoso si possa trovare, a chi interessa se dici Heineken? Il sottotesto qui è evidente: non ci interessa sentir pronunciare bene il nostro nome, l’importante è che scegliate la nostra birra.

Il colpo di genio, qui, è il testimonial: il campione di Formula 1 Mika Hakkinen che, nello storpiamento del naming del brand, viene tirato in ballo e ordinato da qualcuno. In effetti da Heineken a Hakkinen il passo è breve.

Heineken ironizza sui nomi storpiati dagli utenti in occasione dei 150 anni  di vita del brand: i video su Instagram – SOCIALbest

LA MORTE TI FA BELLA

Fino a pochi anni fa quando si parlava di agenzie funebri, morte, decesso ed eventi nefasti i sentimenti predominanti erano paura, dolore, tristezza con una bella spolverata di sofferenza. Così, per insaporire il tutto.

Poi è arrivato Taffo a sparigliare le carte. Qui siamo evidentemente nell’ambito del sarcasmo, perché con la morte non si gioca, ma ci si scherza volentieri – almeno per esorcizzare – perché, ragazzi, morire bisogna. Ed ecco quindi che per la morte di Elisabetta II arriva il “ne ha sepolti più di noi” oppure per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne questo:

Tutti contro Taffo: quando la critica supera il limite, e di molto -  Bufale.net | Bufale - fake news - bufale facebook

E chi si indigna davanti a una pubblicità di questo tipo, be’, rientra nel campione statistico di quelli poco divertenti. E pure poco intelligenti.

Ed ecco che arriva la denuncia per marketing estremo, riferendosi a una serie di pubblicità (non quella indicata sopra ma altre) che sarebbero contrarie al buon costume e turberebbero il comune sentimento della morale, “non rispettando il dolore di chi ha perso o sta perdendo un proprio caro”. Ma il punto è che la pubblicità non deve aderire al buon costume, deve fare accostamenti inediti e ispirare domande, dubbi e discussioni. Deve colpire l’immaginario collettivo. Soprattutto su temi delicati e controversi.

La pubblicità deve fare qualcosa che interessi il pubblico in modo intelligente. E questo consiglio non è mica nostro, ma è del più importante copywriter della storia italiana…

LA BOTTEGA DIVERTENTE

Secondo lui l’agenzia pubblicitaria era una bottega dove si imparava a elaborare un concetto in modo divertente – i pubblicitari moderni direbbero funny – intelligente e tagliente. La sua cifra stilistica, è evidente, era il sarcasmo. Per lui, l’eroe dei nostri copy d’agenzia, la pubblicità ha il compito di stupire, deve raccontare qualcosa che il lettore/ascoltatore/spettatore non si aspetta. Perché la pubblicità non raggiunge il suo scopo vendendo il prodotto ma facendosi ricordare.

Parliamo di Emanuele Pirella, il più importante copywriter italiano di sempre. L’autore di queste sarcastiche (e bellissime campagne):

Pirella: le campagne del guru della pubblicità - la Repubblica
Campagna Epoca per la ricerca di personale

Jesus Jeans, Non avrai altro jeans all'infuori di me – MILANO MANIFESTI
Fa il paio con l’iconico Chi mi ama mi segua. Campagna multisoggetto per Jesus Jeans. Fu protagonista anche di uno degli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini

E quindi? Dopo tutti questi esempi cos’abbiamo imparato? 3 regole d’oro le riusciamo a tirar fuori:

  1. Sfrutta gli errori. Soprattutto se possono farti diventare iconico e renderti più vicino al tuo pubblico, più umano, capace di fare sbagliare
  2. Trova accostamenti particolari. Segui il benchmark del mercato nel quale ti inserisci e poi inserisci un elemento che mai nessuno ha usato, una leva che mai nessuno ha sfruttato
  3. Prendi posizione. Non puoi fare ironia o, peggio, sarcasmo senza prendere posizione rispetto a una questione. Che sia a favore o contro, devi aver bene in mente come vuoi posizionarti rispetto a una certa tipologia di temi

Questa è l’Ironic Selling Proposition: partecipazione emotiva, divertimento, memorabilità.

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