MARKETING E…QUELLA COSA CHE NON SI PUÒ DIRE

Tua madre non approva questo contenuto. O forse sì, ma non te lo dice.

Perché il sesso funziona così tanto nel marketing?

“Fate l’amore con il piacere”

“Se non ti lecchi le dita godi solo a metà”

“Lasciati tentare”

“Red Passion”

Scommettiamo che avete già riconosciuto i brand che stanno dietro a questi claim? Non serve nemmeno citarli e già li avete in mente, con la luce saturata dei loro spot o con il croc tipico del morso del loro prodotto o ancora con il colore iconico della bevanda alcolica mostrata.

Questi brand del mondo food sono rappresentativi in quell’archetipo che noi copywriter chiamiamo della Fata o dell’Amante, la personalità più emotiva, misteriosa, seducente, alla quale non puoi proprio resistere. Questo è, in breve, l’archetipo del sesso. Ma perché così tanti brand, soprattutto del mercato alimentare, scelgono di personificare un soggetto tentatore e ammiccante per vendere i propri prodotti? Semplice: non stanno vendendo un prodotto, ma un’emozione conturbante.

MARKETING E DESIDERIO

Ripetiamo insieme, cari amici: l’azienda commercializza un prodotto; noi, marketers e creativi, vendiamo un’emozione. Capito? Oggi più che mai non è il prodotto/servizio a dover essere venduto, ma è l’emozione di avere quel prodotto/vivere quel servizio a dover essere desiderata.

Non si compra una confezione di gelato a dieci euro perché si ha bisogno di nutrirsi – tua madre consiglierebbe più frutta e verdura – si compra un gelato a dieci euro perché quell’alimento ha un valore sociale (e volendo anche intimo, non facciamo i casti e puri, dai), perché mangiandolo si vive quell’emozione – da soli o in compagnia è una scelta individuale, non indaghiamo su questo.

In una parola: non è il gelato il punto, ma l’emozione che si trasmette. Come tutte le buone storie, anche quelle dei brand sono mosse dal desiderio.

E qual è l’espressione più classica del desiderio? Proprio lui, proprio l’innominato: il sesso.

IL POTERE EVOCATIVO E SENSUALE DELLA PAROLA

In nessuno dei claim citati all’inizio appare esplicitamente la parola sesso, ma pensateci bene: “piacere”, “leccare”, “godere”, “tentare”, “passione” sono tutte parole che appartengono a un certo ambito semantico. Proprio quello lì.

La verità è che il mezzo più eccitante e funzionale non è mostrare direttamente la cosa, bensì farla assaporare, farla avvertire, desiderare, bramare con le sole parole. Per citare un famoso spot di uno dei brand di cui abbiamo mostrato i claim all’inizio, “E se il vero piacere fosse già adesso? Si, prima che tutto cominci. Quando l’atmosfera si carica di promesse e la tua testa di storie da vivere” (spot del 2011, diretto da Joel Schumacher).

Una buona strategia di marketing pesa le parole, le misura, le rende coerenti rispetto al brand concept. L’importante, perché il sesso funzioni e venda, è che sia coerente con la personificazione di quel brand. Facciamo un esempio: un brand che si cita dicendo che “dove c’è lui c’è casa” aderisce all’archetipo dell’Angelo Custode e dell’Innocente, il più sognante, delicato e protettivo di tutti. Se improvvisamente questo brand utilizza come parola, in uno spot, il termine “leccare”, che succede? Semplice: chi guarda non crede più a quella storia, l’evocazione di quelle parole crolla e il consumatore non vuole più sentirsi raccontare quella storia, non desidera più acquistare quel prodotto per vivere una certa emozione, perché non sa più quale emozione dovrebbe provare.

Coerenza, ragazzi miei, coerenza. Questa è la chiave del marketing.

MA QUINDI IL SESSO FA VENDERE DI PIÙ?

Finora siamo giunti a due punti fermi: non bisogna mostrare la cosa ma evocarla e in più, una volta scelta la propria personalità e la strada da percorrere, bisogna continuare in quel modo. Non si torna più indietro.

A questo punto dobbiamo capire se, dati alla mano, il sesso fa vendere di più. Spoiler: no.

Nel 2017 un team di ricercatori della University of Illinois ha condotto uno studio per capire se effettivamente, sia lato vendite che lato memorabilità delle campagne, i consumatori statunitensi tendessero davvero a scegliere prodotti di brand con l’Archetipo dell’Amante. Si ottiene che gli spot pubblicitari più sensuali o sexy sono maggiormente ricordati ma – udite, udite – il consumatore non ne ricorda il brand. In pratica, ricorda lo spot che fa leva su uno dei più grandi istinti dell’essere umano – maddai – ma non lega quel desiderio a un brand.

Pensate che, fra gli spot trasmessi negli ultimi anni durante il SuperBowl, gli spot più sensuali risultavano per il 9% meno efficaci degli altri.C’è anche un dato: i consumatori uomini tendono a preferire gli spot sexy rispetto alle donne. Ma chissà perché…Di questo forse parleremo in un altro articolo, dai.

MARKETING E SESSO: LA RESA DEI CONTI

Dobbiamo metterci in testa due cose: il mondo è cambiato, il sesso non vende più così tanto perché non è più un prodotto d’intrattenimento pensato per soli uomini, con forme totalmente bloccate e fisse. E in più, cosa fondamentale, il sesso non può più essere un mezzo posticcio a cui il brand ricorre senza coerenza solo per farsi notare. Il desiderio erotico, lussurioso, ammiccante – quello davvero capace di far venire l’acquolina in bocca – dev’essere veicolato in ogni parte della comunicazione del brand, in modo organico, coerente, ben mirato e centrato.

Diversamente, quell’atmosfera creata dalla storia che il brand vuole comunicare non ci sarà più, il desiderio verrà meno, così come la voglia di acquisto.

Per citare la Copywriter e Creative Director Ella Marciello, “se provochi un’idea nella mente di chi ti legge […] e lo conduci a sentirsi in quel luogo, in quel momento, con quei sensi attivati, hai trasformato l’idea latente in un’immagine” (Scrittura Ribelle: Anti Manuale di Scrittura Creativa, 2022).

E ora basta, dai, andate a leccarvi le dita, altrimenti godete solo a metà.

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