Brand Activism

Facciamo un esperimento: andate su Google, digitate l’espressione “brand activism” e andate nella sezione notizie. Saranno due le parole più citate: Chiara Ferragni. Prima di arrivare al perché di questo risultato, facciamo un passo indietro.

Sanremo, Chiara Ferragni e i vantaggi del brand activism

Facciamo un esperimento: andate su Google, digitate l’espressione “brand activism” e andate nella sezione notizie. Saranno due le parole più citate: Chiara Ferragni. Prima di arrivare al perché di questo risultato, facciamo un passo indietro.

Cos’è il brand activism

Letteralmente “attivismo di brand”. È un’espressione che indica la presa di posizione di un’azienda su una particolare questione sociale. Avete presente la decisione di molte aziende chiudere le filiali russe dopo l’invasione in Ucraina? Oppure, avete presente la partecipazione di molti brand al Pride, la parata d’orgoglio mondiale della comunità LGBT+ che si tiene tutti gli anni a giugno? Ecco, quello è brand activism.

Generalmente, su quest’espressione, chi ne parla si divide in due fazioni: da una parte chi ritiene che l’attivismo dei brand sia di importanza fatale per riuscire a portare avanti alcune cause che diversamente sarebbero nell’ombra e quindi vendere di più; dall’altra, chi invece è convinto che i brand non portino avanti alcune cause perché ci “credono” davvero ma solo per poter rivendersi quel tipo di notorietà sul mercato.

La grande domanda da porsi in questo senso è una: il brand activism è marketing? E se lo è, è utile ai brand? La risposta a entrambe le domande – niente suspence – è sì, al perché ci arriveremo a conclusione di quest’articolo. Ma è importante sottolineare che sì, ai brand serve l’attivismo, ma solo se non incappa in alcuni problemucci d’immagine come quelli che seguono.

Rainbow washing, green washing, pink washing 

Per “rainbow washing” si intende la pratica dei brand di schierarsi a favore dei diritti LGBT+ solo apparentemente. Ovvero di sostenere le cause della comunità solo nel marketing e nella sua comunicazione senza invece implementare politiche aziendali davvero in linea oppure senza intraprendere azioni concrete. Stesso discorso vale per il “green washing”, cioè la tendenza a difendere e promuovere la causa ambientalista solo all’esterno.

Infine, parlando di “pink washing” si fa riferimento a quei brand che promuovono la gender balance, l’uguaglianza uomo-donna nelle proprie campagne di marketing, la libertà delle donne. Scavando, però, sotto sotto, non seguono le più basilari regole in materia, ad esempio, di gender pay gap, pagando evidentemente meno le lavoratrici rispetto ai lavoratori. Solo per citarne alcune.

Chiara Ferragni e Sanremo 2023

Chiara Ferragni è un brand, sì. Ne ha tutte le caratteristiche: ha i suoi prodotti da vendere, le sue strategie commerciali, è praticamente sovrapponibile alla sua company. Chiara Ferragni è il suo brand e viceversa. Fatto sta che, chiamata a co-condurre alcune serate di Sanremo 2023, Ferragni sceglie di sfruttare quel palco e quella visibilità per portare avanti delle cause. Di nuovo: non siamo qui a parlare di morale, parliamo di strategia di marketing.

Se in passato il focus del marketing era il prodotto, oggi no, oggi il focus è il consumatore del prodotto, con tutte le sue emozioni, pulsioni e convinzioni. Dunque, il marketing moderno non vende più un prodotto o servizio ma fa leva sullo storytelling (racconta una storia) del prodotto, la rende emotivamente impattante e convince il consumatore ad acquistare il prodotto non (solo) per le sue qualità intrinseche ma perché il consumatore è in linea con i valori del brand che lo vende.

Tornando a Chiara Ferragni, dunque, è corretto dire che la sua presenza a Sanremo, la sua promozione di un “manifesto femminista” (tutto di Dior vestito), la sua promozione di Di.Re. Contro la Violenza sulle donne sia un’operazione di marketing? Certo che sì: Ferragni si presenta al pubblico, condivide una lettera aperta con la sé bambina, parla della sua esperienza di maternità, entra in contatto con il suo pubblico, ovvero le donne. Parla di donne, vendendo prodotti per donne. Secondo voi qual è il risultato (di marketing) di quest’operazione? Monetizzare.

Questo significa che Chiara Ferragni faccia “pink washing”, come detto prima? Non è detto: il suo compenso per Sanremo 2023 ammonta a circa 100 mila euro ed è stato devoluto in beneficienza ad associazioni che si occupano di violenza di genere. Molte delle sue collaboratrici sono donne. Sono azioni molto pratiche che passano da un semplice brand purpose (ovvero lo scopo) a un forte brand activism (cioè un’azione concreta).

Citando il giornalista ed esperto di comunicazione Francesco Oggiano, però, lo scopo dell’attivismo è quello di “ottenere visibilità per la causa, e per ottenere visibilità sui social bisogna piegarsi alle regole […] dei social, che altro non sono che regole di marketing. E il marketing, al contrario dell’attivismo, non punta al cambiamento, punta a fomentare e monetizzare su quello che c’è”.

Pensate agli ultimi dati MKTG: l’86% dei consumatori vuole un marketing “cause-driven”, cioè desidera che il suo brand di riferimento metta in campo azioni legate a una causa sociale, ambientale, di libertà capace di diventare la bandiera di quel brand (se vi viene in mente il caso Patagonia, non vi sbagliate).

Gli stessi consumatori sono sempre più pronti a pagare quello che in gergo viene chiamato “premium price”: scelgono di spendere di più per il prodotto di un brand che sposa una certa causa o produce in modo sostenibile, magari a parità della qualità di prodotto con un’altra azienda che però non fa brand activism.

Quindi, per tornare alla domanda iniziale, il brand activism è marketing, ma è un marketing più lungimirante: spacca gli utenti e i consumatori, ma parla a un target molto preciso, lo prende “per il cuore”, lo fidelizza. Monetizza su un’emozione.

Alla fine, il nome “Chiara Ferragni” e quello del suo brand sono fra i più cliccati delle ultime settimane, insieme a quello delle cause che sta promuovendo e delle associazioni che sta supportando. Sapete cos’altro è aumentato nelle ultime settimane? I click sui prodotti di Chiara Ferragni e le sue vendite. 

Niente male questo brand activism, alla fine.

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