Ci stiamo tutti scordando del golden target: i boomer
Il 64% della popolazione riconosce il senior power, cioè il potere – soprattutto economico e di standing – dei baby boomer (quelli che erano giovani negli anni ‘80). Il 95% delle persone tra i 65 e i 70 anni si sente in forma e performante. Negli acquisti, sempre la stessa fascia di popolazione ha registrato un +10% di acquisti di prodotti per il benessere e per apparire al meglio.
Insomma, i boomer stanno benissimo – a differenza dei loro figli e nipoti – ma in Italia solo il 2% delle pubblicità li ritrae e negli Stati Uniti solo il 3,2% (tra gli over 50) si sente rappresentato dalla pubblicità commerciale.
Insomma, se sono loro a stare meglio di tutti, perché la pubblicità non li rappresenta?
Aspetta, facciamo un passo indietro.
La pubblicità rappresenta il target
Normalmente – ma non sempre! – funziona così: gli spot e le campagne pubblicitarie rappresentano, cioè mettono in scena:
- il target che vogliono attirare. Cioè, le persone che vogliono spingere all’acquisto dei beni e servizi pubblicizzati. Puntano cioè sull’immedesimazione
- ciò che il nostro target desidera, l’oggetto del desiderio
- i soggetti a cui il nostro target è affezionato, ovvero ciò che ama per storie e ragioni personali
Nike e Adidas rappresentano atleti perché vendono articoli sportivi; brand come Gardaland e Disney (cartoni animati) hanno al centro le mascotte a cui i bimbi, il vero target (non pagante, perché sborsano i genitori), sono più affezionati (avete presente Prezzemolo?). Infine, per fare un altro esempio, i brand legati alla salute – ospedali privati o assicurazioni – spesso hanno come soggetti le persone più fragili a cui vogliamo più bene, tipo i nonni che nipoti affettuosi accompagnano in ospedale o a firmare delle carte che da soli non capirebbero.
Dunque, in generale, qui c’è una prima nota da sottolineare in materia di pubblicità: mentre l’arte prevede la sola contemplazione estetica e il godimento “fine a se stesso”, la pubblicità invoglia e genera un desiderio. E il desiderio non è solo estetico ma presuppone un’azione (Visus, Riccardo Falcinelli, Einaudi, 2024).
La pubblicità è bellezza più call-to-action: ti piace ciò che vedi? Allora compralo.
Quelle elencate sopra, è ovvio, sono solo alcune delle variabili – potenzialmente infinite – che si possono mettere insieme per invogliare l’acquisto da parte del target.
Ciò che sembra interessante, però, è questo: se è vero – com’è vero – che spesso il target è rappresentato dalla pubblicità e solo il 2% delle pubblicità rappresenta i boomer, vuol dire che i boomer non acquistano, non consumano, non scelgono servizi? I boomer stanno fermi e immobili in un mondo di iper consumismo?
Evidentemente no. Allora c’è dell’altro.
Tuo nonno è Brad Pitt
La coscienza comune è abituata a pensare alla parola nonno o nonna o boomer attribuendo a queste espressioni un certo tipo di ritratto: rughe, capelli bianchi, barba lunga, incapacità di usare un cellulare più piccolo di uno schermo a Times Square. Praticamente, un rimbambito che pela fave.
Peccato che questo luogo comune sia più simile a un film come Roma Città Aperta (1945) che alla realtà odierna.
Oggi i boomer, ovvero quelli nati negli anni ‘60 e che hanno vissuto la giovinezza nei ruggenti anni ‘80, non sono mica i nonni degli anni ‘40: comprano online (sugli e-commerce) più dei giovani, utilizzano i social quasi più dei giovani (che invece si avviano verso il digital detox), ma soprattutto si prendono cura di sé e del proprio aspetto. E il motivo è molto semplice: hanno i soldi per farlo.
Negli ultimi anni le statistiche ci raccontano che la fascia di popolazione over 50 rappresenta il 50% del PIL del nostro Paese. Considerando gli shock sistemici e le crisi economiche che si stanno abbattendo ripetutamente soprattutto sulla generazione dei Millennial (i nati dagli anni ‘80 al 1996 circa), si tratta di una bella fetta di popolazione da attaccare per invogliarla a spendere.
Sono loro il vero golden target. Ma come fare per conquistarli?
Come vendere ai boomer
Come detto, le poche rappresentazioni degli over 50, oggi, vedono spot di natura solitamente assistenziale: gente con la dentiera o in fila dal medico. Il target è cioè chi si prende cura del boomer. Errore: la prima regola d’oro da applicare è operare un passaggio da persona di cui prendersi cura e proteggere a soggetti edonisti, cioè che apprezzano un’alta qualità della vita – per cui sono disposti a spendere – e il soddisfacimento dei desideri.
La seconda regola d’oro per attirare i boomer, invece, è puntare molto sulla funzionalità del prodotto. Se c’è un aspetto sul quale si può effettivamente misurare lo scarto generazionale tra i boomer e i Millennial e la Gen Z è proprio questo: mentre le generazioni più giovani hanno ormai introiettato lo storytelling e acquistano un brand per il racconto e l’emotività che c’è dietro, i boomer sono ancora legati a vecchi dettami che portano alla scelta del prodotto principalmente per la sua qualità e funzionalità più che per il suo racconto.
Si tratta, in breve, di poche semplici intuizioni che solo i comunicatori e i pubblicitari – ovvero le persone più attente al mondo che cambia – possono applicare. Però, in una fase economica di forte flessione e incertezza è bene ampliare la scelta del proprio target puntando un po’ di più su chi ha capacità di spesa. Altrimenti, continuare ad attaccare sempre gli stessi figli e nipoti più poveri dei loro genitori e nonni rischia di mettere a rischio il fatturato.
Tutto parte sempre dal guardarsi attorno e analizzare ciò che sta accadendo. Qui c’è un link che potrebbe esserti utile.