Usi ChatGPT? Potresti essere stupido

“È intelligente ma non si applica”. La frase che ad alcuni di noi ripetevano a scuola. Anni dopo, da grandi, stiamo diventando tutti così: intelligenti senza applicarci. E ci meritiamo un debito da recuperare a settembre

Come il miglior amico diventa il peggior nemico. O forse no.

Qualche giorno fa il nostro ufficio si è animato.

Da una parte, giovani virgulti che dicevano “l’algoritmo ci impedisce di pensare e l’AI fa anche peggio”, dall’altra anziani 30enni – età percepita: 83 anni – che invece difendevano la modernità: “prima, anche senza l’algoritmo e ChatGPT, facevamo comunque abbastanza schifo ogni volta che ne avevamo la possibilità”.

Ovviamente, semplifichiamo così una discussione che ci ha rubato la pausa pranzo e il dopo lavoro.

Abbiamo concluso la discussione offrendo, una fazione all’altra, l’onore delle armi: entrambe le voci hanno ragione, come si dice in ambienti civili. E invece no.

Perché il giorno seguente è comparsa una ricerca del MIT di Boston dal titolo un tantino sfidante: Il tuo cervello e ChatGPT: accumulazione di debito cognitivo nell’usare un assistente di intelligenza artificiale per compiti di scrittura.

Subito ci siamo fiondati sulla ricerca perché, abbiamo pensato, come possono dei creativi che lavorano in un’agenzia di comunicazione avere un debito cognitivo? Che c’entra, questo, col nostro lavoro?

Domandandoci se l’intelligenza artificiale possa renderci stupidi, abbiamo scoperto che un uso massiccio di strumenti di scrittura come ChatGPT può ridurre la connettività cerebrale del 55%. Ma prima di spaccare i computer e i server dove abbiamo installato la versione Pro dell’AI che ogni giorno ci aiuta a lavorare, abbiamo (per fortuna) capito che Chat GPT è come il nostro migliore amico: i suoi consigli vanno solo ascoltati ma non bisogna diventarne dipendenti.

Perché è bello avere degli amici.

Il debito cognitivo

Partiamo dall’inizio: il focus della ricerca era una domanda, ovvero l’uso dell’AI ci spegne il cervello? Quello che gli esperti chiamano debito cognitivo perché sono gentili e che noi chiamiamo idiozia.

Per condurre lo studio, sono stati formati 3 gruppi differenti formati da 54 volontari dai 18 ai 34 anni – con buona pace di quelli che in pensione non sanno che fare (beati loro) e giocano con l’AI. Il compito assegnato a ciascun soggetto è stato quello di scrivere dei testi brevi su temi assegnati per un periodo esteso di un trimestre (quindi, un testo al mese).

Ogni gruppo, però, aveva delle regole specifiche: al gruppo uno (brain-only) è stato impedito di utilizzare ogni tipo di risorsa, dovendo fare ricorso solo al proprio cervello; al gruppo due è stato concesso di utilizzare dei motori di ricerca come Google; al terzo gruppo, invece, è stato permesso di utilizzare l’AI generativa, soprattutto ChatGPT.

Durante le sessioni di scrittura, ognuno dei partecipanti è stato sottoposto a elettroencefalogramma, cioè sono stati mappati i loro cervelli per comprenderne l’attività durante la scrittura.

Il MIT che ha condotto la ricerca si aspettava sì delle differenze di attività cerebrale. Ma mica così!

chagpt e il nostro cervello

Nell’immagine, l’attività cerebrale del gruppo 3 e dei gruppi 1 e 2, dove le linee rosso sono i movimenti ad alta connettività cerebrale e quelli azzurri sono quelli a bassa connettività cerebrale.

I risultati

L’utilizzo di ChatGPT nell’attività di stesura dei testi ha prodotto una riduzione di circa il 47% della connettività cerebrale con mancanze importanti di attività nelle aree del cervello legate a memoria e – qui è stato un dramma per noi – creatività.

Ma come creatività?!

Se è per questo, c’è anche di peggio: mentre nei gruppi 1 e 2 – quelli che non hanno usato strumenti tech oppure solo Google – solo l’11% non ricordava ciò che aveva scritto, nel gruppo 3 che ha usato ChatGPT la percentuale di smemorati arrivava all’83%.

Qui, leggendo, alcuni di noi si sono fatti prendere dall’ansia e hanno iniziato a lamentare pochi ricordi legati a quella campagna pubblicitaria che abbiamo lanciato lo scorso anno…per quel brand…oddio, come si chiamava?!

Attacchi di panico a parte, abbiamo poi proseguito con la lettura dei risultati. E qui si è generato il vero dramma da tragedia shakespeariana.

Nell’ultima fase dello studio, i gruppi sono stati invertiti: il gruppo 1, quello che prima ha dovuto scrivere senza alcun tipo di supporto, ha avuto a disposizione Chat GPT – praticamente, ha vissuto improvvisamente l’età dell’oro – mentre al gruppo 3 che prima aveva scritto usando l’AI generativa è stato sottratto lo strumento: praticamente è stato buttato a mare e gli è stato urlato nuota, scemo! senza salvagente.

Le persone che usano di più ChatgPT diventano individui più manipolabili da ogni sorta di interesse, propaganda e pubblicità avendo difficoltà a creare un pensiero critico

E qui, è finito tutto: quelli che si sono visti privati di ChatGPT, dopo aver pianto come i bambini a cui viene detto no al gelato, hanno avuto serie difficoltà a scrivere testi semplici e brevi, non riuscendo a riprodurre in modo robusto e strutturato l’attività cerebrale; di contro, quelli che si erano prima allenati senza AI e che poi hanno avuto ChatGPT sono stati in grado di migliorare i propri testi, usando la propria connettività cerebrale e facilitandosi con l’AI.

Lo studio conclude in modo lapidario affermando che – non citiamo ma rielaboriamo i risultati – le persone che usano di più Chat GPT diventano individui più manipolabili da ogni sorta di interesse, propaganda e pubblicità avendo difficoltà a creare un pensiero critico.

Tutta colpa di Gutenberg

Per chiunque si occupi di creatività, questo è un guaio: chi è chiamato, per mestiere, a sviluppare il pensiero laterale (cioè, quello creativo) non può tirarsi indietro rispetto all’utilizzo di mezzi tecnologici di ultima generazione.

Nessun creativo può, cioè, evitare ChatGPT o altri strumenti di AI generativa. Ma che succede quando proprio la tecnologia ti toglie una parte di cervello che ti serve per lavorare?

“A questo punto, però, è tutta colpa di Gutenberg” dice qualcuno di noi in ufficio parlando dei risultati dello studio MIT. Senza arrivare all’inventore della stampa a caratteri mobili, è certamente vero che ogni innovazione tecnologica, dalla radio alla televisione ai pannelli per strada per il Digital Out Of Home (DOOH) comportano una percentuale di rischio. Il punto, per i creativi, non sta nel rigettare la tecnologia ma nel saperla usare senza perdere il mestiere, gli strumenti che da sempre ci tramandiamo.

ChatGPT non sa come si forma una campagna pubblicitaria, può solo darci dei consigli. A guidare, siamo sempre noi. Come quell’amico che ci diceva “quella ragazza non mi piace, secondo me non durate”: alle volte ci azzecca, altre, invece, fa il discorso al matrimonio nostro e di quella stessa ragazza.

L’intelligenza, come dimostra lo studio del MIT, è un metodo: se abbiamo quello possiamo usare tutti gli strumenti esecutivi del mondo.

Piccola nota sui creativi

Chat GPT risponde alle esigenze economiche delle aziende, rendendo gli utenti più veloci del 60% e riducendo i tempi di apprendimento del 32%.

Questo è in linea con i trend attuali di una società senza tempo in cui il ritmo frenetico della vita ci porta a creare, digerire e dimenticare contenuti e campagne pubblicitarie – che quindi non sono meno creative di prima ma solo meno longeve.

Da poco tempo si è svolta la più importante manifestazione pubblicitaria del mondo, a Cannes, per l’assegnazione dei premi alle pubblicità e campagne di comunicazione più belle, innovative, eccetera eccetera eccetera.

Brand-News ha colto l’occasione per intervistare Bruno Bertelli, Global Ceo di LePub e Chief Creative Officer di LePub Worldwide. Alla domanda sul motivo per cui le campagne italiane non vincono i premi a Cannes, Bertelli risponde che “forse in Italia manca ancora un po’ la parte strategica, di insight e posizionamento. Si va subito all’esecuzione cadendo un po’ nel banale”.

Tutto e subito, insomma. Grazie a ChatGPT subito, prima ancora di pensare. Il 60% prima di sviluppare un pensiero.

Forse il debito cognitivo è già qui. Questo è il nostro settembre e tra un po’ dovremo recuperare, per non essere bocciati.

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