Il caso Jesu Jeans e il concept pubblicitario
OLIVIERO TOSCANI È MORTO, VIVA OLIVIERO TOSCANI!
“Non c’è più” è una frase che a un artista non si addice. Un artista muore, ma non scompare. Continua a essere, attraverso la sua opera e ancora di più attraverso lo sguardo.
Ora che abbiamo scritto la frase romantica d’obbligo per celebrare uno dei più esuberanti, ipocriti – per sua stessa ammissione – e carismatici artisti italiani del ‘900, possiamo procedere.
Nelle ultime settimane, da quando cioè l’uomo Oliviero Toscani è morto – mentre l’artista rimane – abbiamo letto articoli ovunque, su ogni testata, a proposito di ogni argomento. Uno dei temi più toccati, però, è stato chiaramente quello delle sue foto prestate alle campagne pubblicitarie, principalmente Benetton ma in generale tantissime, per qualunque tipo di prodotto o servizio, commerciale o culturale.
Ci ha sorpreso, però, l’attribuzione a Oliviero Toscani del termine “pubblicitario”. Dapprima ci ha colpito, poi ci ha portati a riflettere, alla fine ci ha spinti a pensare che qualcosa, su questa specifica questione, bisognava pur dire.
E la cosa da dire è una e una sola: Oliviero Toscani non era un pubblicitario. Era un fotografo e un artista. Il fatto che alcune sue opere, alcuni suoi scatti artistici, siano stati la carne che ha rivestito uno scheletro di concetto pubblicitario già costruito da altri non lo rende un pubblicitario. E va benissimo così.
La questione sarebbe enorme – e noi non abbiamo troppo tempo, perché stiamo lavorando a una campagna pubblicitaria che ci sta assorbendo molte energie. Dunque, la affrontiamo facendo un solo esempio, molto specifico. E che sta molto a cuore ai nostri copywriter d’agenzia.
NON AVRAI ALTRA CAMPAGNA ALL’INFUORI DI ME
Il riferimento, la campagna pubblicitaria che andremo ad analizzare, è letteralmente un culo. Domandiamo scusa a chi si è sentito un po’ più scomodo sulla sedia leggendo quel termine, ma purtroppo o per fortuna l’immagine è quella.
Parliamo della cosa più semplice del mondo: un jeans shorts, delle gambe – e un culo, non per ripeterlo – di una donna e una frase che è tutto. Letteralmente tutto. Compreso un inno al catcalling, ma non ce ne occuperemo adesso.
La pubblicità ha come oggetto non il sedere della donna – la protagonista dello scatto è una delle modelle più belle e famose dell’epoca, Donna Jordan – ma il jeans a marchio Jesus Jeans del Maglificio Calzificio Torinese.
Poiché ogni campagna pubblicitaria, come ogni persona, non è monodimensionale ma di dimensioni ne ha almeno due, anche nella pubblicità dei jeans Jesus c’è un altro modello – stavolta lungo – da reclamizzare. E quel modello viene visto da davanti.
Questa, in breve, la campagna: un jeans, un corpo di donna senza testa inquadrata nella zona pubica e più sessuale, e una frase iconica. Basta, solo così.
Sembra la cosa più semplice del mondo, ma non lo è (fortuna per i consumatori, peccato per i pubblicitari). Per diversi motivi.
JESUS CHRIST SUPER SCANDALO
Chi si occupa di contenuti in ufficio da noi, studiando la campagna, ha detto “hanno avuto culo” – letteralmente? – “non solo perché il nome del marchio è già di per sé iconico e ci si può giocare…ma anche perché questa campagna esce nel 1973, e non è mica un caso”.
Perché, che succede nel 1973? Succede che esce un musical sulla vita di Gesù in cui Gesù canta, Giuda è un personaggio super affascinante di rosso vestito e le musiche tratte dai Vangeli sono una roba che puoi cantare anche a un party con un sacco di birra. Insomma, apriti cielo. Tant’è che l’autore del musical originale, Tim Rice, il regista del film tratto dal musical, Norman Jewison, e l’autore della musica, Andrew Lloyd Webber, vengono tutti scomunicati. Il musical è questo qui:
Quindi diciamo che quell’anno lì, il 1973, l’uomo dell’anno era effettivamente Gesù. Dunque, quando ti trovi davanti un marchio che si chiama Jesus Jeans, be’, sfrutti quella leva lì per attirare l’attenzione del pubblico.
Alla fine possiamo dire che non è tanto la foto in sé a generare il successo della campagna pubblicitaria, quanto la frase su quel culo.
Ecco, allora la domanda è: quella frase di chi è?
UN BAFFETTO CREATIVO
Emanuele Pirella. Scrittore, giornalista, pubblicitario. Per intenderci, è quello che si è inventato “o così o Pomì”, Giovanni Rana come testimonial vivente del suo marchio e “Perlana, capi come nuovi”. Diciamo che era uno che con le parole era bravino, dai.
Ecco, il concept della campagna è suo. Quella frase, di cui parliamo ancora oggi, è sua. Quella frase di cui ha parlato anche Pier Paolo Pasolini ne Gli scritti corsari scrivendo
Sembra folle, ma un recente slogan, quello divenuto fulmineamente celebre, dei «Jeans Jesus»: «Non avrai altri jeans all’infuori di me», si pone come un fatto nuovo, una eccezione nel canone fisso dello slogan, rivelandone una possibilità espressiva, e indicandone una evoluzione diversa da quella che la convenzionalità – subito adottata dai disperati che vogliono sentire il futuro come morte – faceva troppo ragionevolmente prevedere.
Emanuele Pirella analizza il mercato – quello degli anni ‘70, della moda dell’epoca, della pulsione sessuale perenne – i trend del momento – Jesus Christ Superstar, di cui tanto si parla in giro – legando tutto al nome del brand. Così crea una notiziabilità che Oliviero Toscani scatta, partendo dall’idea di Pirella.
MA QUINDI, DI CHI È LA CAMPAGNA PUBBLICITARIA?
È difficile capire come si arriva a un risultato, chi è l’autore specifico di una campagna pubblicitaria. Le idee di partenza non sono mai quelle finali, gli spunti, nel processo creativo, vengono sempre contaminati da altre idee, mezze frasi, sussurri, scherzi, eventi ordinari o straordinari, accidentali. È il bello – e il terribile – di questo lavoro.
Quello che sappiamo per certo è però che ci sono degli elementi imprescindibili per il successo di una campagna pubblicitaria, ovvero:
- ogni campagna parte da un presupposto: dobbiamo comprendere mercato e trend. In poche parole, dobbiamo fare un’analisi per capire che strategia attuare, abbiamo bisogno di dati
- i dati non bastano, dobbiamo raccontare qualcosa, dare un contenuto a ciò che stiamo provando a vendere al consumatore. Dobbiamo, cioè, dare una ricompensa di racconto a chi acquista
- what about emotion?, direbbero alcuni. Ovvero, una volta pensato al concept, all’idea, al guizzo creativo, ecco che bisogna vestire il tutto con un abito bellissimo, con un’immagine, una foto, un visual capace di far innamorare, prima di comprare
Alla fine, quello che possiamo dire è che bisogna sempre pensare, prima di scattare. E che una campagna pubblicitaria va sempre oltre l’immagine con cui si presenta. Perché l’immagine è un abito di qualcosa di molto più complesso.