MA CHE NE SA PROUST

Si sente ma non si vede. Si annusa ma non si tocca. Si tocca ma non si vede.

Neuromarketing, fra letteratura e patatine fritte

Questa è una delle regole del neuromarketing. Quando parliamo di questa disciplina ci riferiamo a un punto d’incontro fra le neuroscienze, il marketing e la psicologia. Il tutto per comprendere bene cosa spinge i consumatori/utenti/fruitori a scegliere un prodotto o un servizio. Cosa ci spinge a preferire un brand a un altro?

In pratica, per fare marketing e comunicazione servono due cose: 

  1. conoscere le persone (cari marketer, se non vi piace osservare le abitudini umane delle persone, cambiate mestiere) e
  2. conoscere i dati e le scienze (cari comunicatori, se non vi piace leggere i numeri e studiare i trend, cambiate mestiere anche voi).

A dirci questo, per primo, è stato un antipatico signore aristocratico che faceva lo scrittore. Eppure, oggi ce lo dice anche un famoso brand che fa *rullo di tamburi* patatine fritte.

L’ORIGINE DEL NEUROMARKETING: LA LETTERATURA

“Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre […], mi propose di prendere, […], un po’ di tè. […]  Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati Madeleines, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo.

E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della Madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. […]  Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della Madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla?”

Questo è il brano più famoso di Dalla parte di Swann, il primo libro de Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, il romanzo più citato e meno letto della storia della letteratura (non negate, l’avete fatto anche voi).

Quello che Proust descrive nel suo sbrodolamento letterario non è né più né meno di un fenomeno chimico che accade nel cervello ed è la base del neuromarketing: nel momento in cui il giovane Marcel assaggia il sapore del thè misto al dolce che chiama Madeleine gli vengono alla mente delle sensazioni che lo riportano immediatamente a quando era bambino, una specie di viaggio nel tempo low cost e calorico.

La stimolazione di un senso – in questo caso il gusto – ha, cioè, la capacità di produrre una serie di movimenti fisici e di attivare dei collegamenti neuronali capaci di farci vivere delle sensazioni, dei ricordi, dei momenti della vita totalmente staccati rispetto alla situazione di fatto che stiamo vivendo.

E voi direte, ok, ma che c’entra tutto questo col marketing, ovvero con la vendita di un prodotto o con un racconto di brand?

A darci una risposta a questa domanda – a parte un sacco di manuali che elencheremo, se volete, alla fine dell’articolo – è McDonald’s. Sì, quello delle patatine fritte.

SMELLS LIKE MCDONALD’S

Immagine che contiene aria aperta, vestiti, cielo, calzature
Descrizione generata automaticamente

Campagna Smells like McDonald’s, agenzia Tbwa\Neboko, 2024

Guardate l’immagine qui sopra. Non c’è niente: né scritte, né immagini, né logo del brand. Non c’è niente. Eppure, c’è tutto. Perché c’è un odore.

Ad aprile 2024 McDonald’s ha posto queste installazioni a Utercht e Leida, nei Paesi Bassi. Semplici cartelloni gialli e rossi. Quando i passanti arrivano a meno di 5 metri, i cartelloni si attivano e “spruzzano” fuori degli odori particolari: quelli delle patatine fritte. I passanti non possono non avvertirli.

Ora, forse l’idea di essere avvolti dall’odore di fritto per strada non è la cosa più cool che possa venirvi in mente, ma le installazioni di McDonald’s sono poste a circa 3.200 metri dai ristoranti McDonald’s. E pensate un po’: nel momento in cui un odore è così avvolgente e forte, così distintivo di un certo tipo di brand e di gusto, cosa accade? Si attivano dei collegamenti neuronali che vi fanno venire, indovinate cosa? Fame. E se c’è un McDonald’s proprio lì vicino, e magari siamo vicini alla pausa pranzo o alla cena, allora sapete che c’è, vale la pena andare a mangiare delle patatine fritte di cui ci è venuta un’improvvisa voglia.

Stijn Mentrop-Huliselan, CMO di McDonald’s Netherlands, su questo punto ha affermato una cosa interessante: “è stato dimostrato che l’olfatto è più efficace delle immagini nel suscitare ricordi chiari ed emotivi. Con l’inclusione di questo senso nella nostra pubblicità, abbiamo trovato un nuovo modo per ricordare i bei momenti da McDonald’s”.

Eccoci qua, si torna sempre a Proust. Uno che ha detto una cosa così palese e chiara, così insita nell’essere umano da non essere mai stata notata da nessuno. Nascosta in bella vista.

NON SOLO MCDONALD’S

È stato solo l’ultimo dei brand a sfruttare la leva del neuromarketing. Il primo esperimento in questo ambito ha coinvolto Pepsi e Coca-Cola.

Nel 2003 al Baylor College Read Montague e Samuel McClure condussero un esperimento che ci dice molto non solo su come funziona il nostro cervello ma soprattutto su come le leve che ci portano a desiderare qualcosa sono la cosa più importante nel marketing.

L’esperimento era questo: due gruppi di soggetti selezionati per assaggiare delle bevande analcoliche contenute in due bicchieri. Dopo l’assaggio, dovevano indicare la loro preferita. Uno dei due gruppi era a conoscenza del fatto che nel bicchiere A ci fosse Coca-Cola e nel bicchiere B Pepsi; l’altro gruppo non sapeva quali bevande fossero. Durante l’esperimento i partecipanti vennero sottoposti all’fMRI (risonanza magnetica funzionale) per comprendere quali aree del cervello si attivassero in base allo stimolo di assaggio e scelta della bevanda preferita.

Risultò che il primo gruppo, quello a conoscenza delle due bevande, tendeva a scegliere Coca-cola e che al momento dell’assaggio nel loro cervello si attivasse la corteccia prefrontale, l’area del cervello umano deputata a prendere decisioni razionali e logiche. Il secondo gruppo, quello che non sapeva quali bevande stesse bevendo nei bicchieri, tendeva a scegliere come bevanda preferita Pepsi, attivando nel proprio cervello il putamen ventrale, l’area del cervello che reagisce al senso del gusto.

È piuttosto indicativo che chi conoscesse il brand – compresi tutti i suoi valori, qualità narrate – scegliesse Coca-Cola, si presume, non per gusto effettivo del prodotto ma per attaccamento emotivo al brand.

E qui si arriva al punto: il neuromarketing ingegnerizza le emozioni umane. E questo non è né un bene né un male, è solo un dato di fatto.

WHAT ABOUT EMOTIONS?

Il neurologo portoghese António Rosa Damásio ha scritto “non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”. La questione che rende difficile – ma anche straordinariamente bello e interessante – il nostro lavoro è esattamente questa. Non è il prodotto a fare la differenza, né il servizio offerto dall’azienda, è l’emozione che l’utente/consumatore/fruitore associa (e quindi prova) in relazione al brand e/o al momento in cui utilizza e si serve del suo prodotto o servizio.

Proust scriveva che “ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso”. Questo concetto è talmente vero che, per comprenderlo appieno, non è necessario neppure mettersi a leggere quell’elefante de Alla ricerca del tempo perduto. Basta andare al supermercato.

Anche se, ecco, leggere Proust, per chi ci riesce, è tutta un’altra cosa.

Se vi interessa approfondire un po’ di neuroscienze e neurostorytelling (“termine ombrello” che ci siamo inventati sul momento) ecco quattro manuali e saggi:

  1. Martin Lindstrom, Neuromarketing
  2. Marco Larosa, Neurocopywriting. Come rendere la comunicazione e i contenuti più efficaci con il neuromarketing
  3. Will Storr, La scienza dello storytelling. Come le storie incantano il cervello
  4. Jonathan Gottschall, Il lato oscuro delle storie: Come lo storytelling cementa le società e talvolta le distrugge

🎁 PLUS-REGALINO

Nicola Lagioia, Fare un fuoco, podcast di Lucy sulla Cultura

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