Contro i Contenuti

I contenuti ci piacciono, ma quelli fatti solo per riempire gli spazi vuoti della nostra vita ci stanno levando l’anima

I Content Manager contro se stessi. Per salvare il mondo.

Pochi giorni fa è stato pubblicato Trend or Hype 2025, il progetto di ricerca che esplora i fenomeni del momento in materia di rapporto con la tecnologia, i consumi e le relazioni personali. E così – ed è qui la sfida – capire quali strategie di marca adottare.

Ci sono un sacco di cose interessanti in questo report ma soprattutto ne abbiamo notate due. Ed entrambe ci portano a dire che stiamo vivendo un periodo un po’ irrequieto, non di pace ma molto vicino al suo opposto. E tra queste, una delle battaglie che stiamo combattendo è senza dubbio quella dei contenuti.Così, chi tra noi si occupa di Content si è trovato a fare una cosa mai vista: il Manifesto contro i contenuti.

Il prezzo dell’attenzione

Troppo, ovvero niente.

Troppe informazioni, troppi spunti, troppi video, troppi articoli – quello che state leggendo non fa eccezione, o forse sì – troppi reel, troppi video divertenti di gang di ragazzini che fanno cose stupide sui social.

Abbiamo tutti troppo, di tutto, e quindi non abbiamo niente. Siamo molto più poveri dei nostri nonni nel dopoguerra in termini di attenzione.

Così bombardati da contenuti di ogni genere, sonori, scritti e video, non sappiamo più dove guardare. E infatti la nostra soglia dell’attenzione è pari alla voglia di fare attività sportiva di un panda: zero.

Il 73% degli utenti, secondo Trend or Hype 2025, vede una società ricca di stimoli che rendono difficile prestare la giusta attenzione alle cose.

Se guardiamo le modalità di fruizione dei social network, in particolare nella fascia d’età che va dai 25 ai 34 anni, l’86% utilizza Instagram, TikTok o altri social mentre guarda la tv o fruisce altri contenuti online.

Tra coloro che si trovano nella fase più difficile della vita, quella tra i 35 e i 44 anni – in altri Paesi europei sarebbe la fascia delle persone adulte, in Italia sono ancora ragazzi giovani indegni di sostituire la vecchia guardia dei manager – il 78% dice di ricevere così tante e-mail promozionali da non leggerle nemmeno più.

Immaginiamoci: siamo a letto con l’amore della nostra vita e sentiamo l’esigenza di dare uno sguardo al cellulare, quel bisogno impellente di sbloccare lo schermo ed entrare su Instagram alla minima illuminazione del cellulare. E non riusciamo a resistere anche se, diciamolo, spegne un po’ la passione.

E non riusciamo nemmeno a dire no: perché se quasi ognuno di noi non legge nemmeno le mail promozionali, allora la domanda è perché continuiamo a essere iscritti a quelle mail senza eliminarle?

Ora, se siamo dei pubblicitari e dobbiamo attirare l’attenzione di gente che sta messa così (male), cosa possiamo fare per riuscire comunque nel nostro intento di agganciare il consumatore e vendergli qualcosa?

La risposta, secondo il Report, è il rapporto tra consumatore e brand, che deve quindi trovare il modo di creare degli spazi nuovi, farvi entrare le persone e integrarle all’esperienza del brand. In una parola, costruire nuove bolle personalizzate.

Ma per fare questo, cos’è necessario? Ancora contenuti. Nuovi contenuti. Sempre contenuti.

Ne usciremo mai?

Non lo sappiamo, con questa soglia dell’attenzione abbiamo perso il filo di quello che stavamo dicendo.

Le nozze di carta

Nell’ultimo anno c’è stata un’impennata di ricerche online per una parola. Addirittura dell’89%.

Quella parola è divorzio.

Ora, sarebbe legittimo domandarsi per quale motivo prendiamo il divorzio come esempio per parlare di marketing e branding.

Perché il divorzio c’entra eccome nella relazione tra consumatore e brand.

Il 60% dei 35-44enni, secondo Trend or Hype 2025, preferisce essere una persona libera anziché prendersi impegni a lungo termine. E questo non si riferisce solo a relazioni amorose, d’amicizia o di altro tipo. No, è riferibile anche ai brand. Cioè a quella marca di biscotti che ci accompagna da tempo nella prima colazione; quel brand di scarpe che ci scorta in ufficio o in palestra; quella specifica azienda che ci dà gli integratori alimentari.

“Mi piace cambiare spesso marca” dice il 65% delle persone tra i 35 e i 44 anni. Se la tendenza è il mordi e fuggi, non solo nei rapporti interpersonali ma anche nei rapporti con i beni che fruiamo, allora cosa possono fare i pubblicitari?

Devono alimentare una relazione, darle attenzione, far sentire l’altro amato, creare dei momenti di svago e altri in cui si è solo in due e, come in una romantica danza, ci si ricorda del viaggio fatto insieme fino a quel momento. E della strada ancora da fare.

Insomma, i pubblicitari sono i più grandi seduttori del mondo. E per sedurre, a cosa fanno ricorso?

Ai contenuti.

Contenuti che, come tutti i buoni fidanzati, non possono essere solo chiacchiere e parole vuote ma tradursi in qualcosa di concreto. In qualcosa di tangibile, molto spesso. Qualcosa che rafforzi il rapporto e continui a raccontarlo, per bene.

Altre storie.

Altre storie fragili come la carta. Come gli sposi novelli che, dopo il primo anniversario, festeggiano le nozze di carta, facili da rompere e da raccontare male.

E quindi come ne usciamo?

Non ne usciamo.

In primo luogo perché la nostra Content Manager e i nostri Copywriter d’agenzia hanno bisogno di un lavoro per pagare l’affitto; in secondo luogo, soprattutto, perché l’essere umano è un animale narrativo.

E se si entra nell’ordine di idee che pubblicità e comunicazione commerciale sono storie tanto quanto I promessi sposi e una famosa serie tv figlia del secolo, solo per fare degli esempi, allora si capirà facilmente che è inutile, non potremo mai fare a meno dei contenuti. 

 Anche se ci rendono più difficile resistere nei nostri rapporti di coppia. O ci tolgono l’attenzione necessaria a ricordare ciò che serve davvero.

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